‘Il bambino segreto’ di Camilla Läckberg
Per puro caso, ho incominciato a leggere questo
giallo il 27 gennaio, Giornata della memoria. In quella stessa giornata, mi sono
imbattuta in un passo, riportato su questo blog, in cui la protagonista descrive
le sensazioni provate di fronte alla scoperta di una medaglia nazista, in un vecchio
baule appartenuto a sua madre.
Il romanzo si è rivelato proprio un continuo,
accattivante dispiegarsi di capitoli che, alternandosi in maniera sistematica,
ritraggono vicende ambientate nel presente intrecciate con fatti risalenti alla
Seconda Guerra Mondiale, mettendo due generazioni a confronto. Fa da sfondo, in
entrambi i casi, una cittadina costiera svedese, Fjällbacka (in foto).
Tutti i personaggi trovano il loro posto in ciascun
capitolo, con lunghi capoversi che ritraggono in maniera dinamica e mai statica
le loro vite; si incontrano, si intrecciano nella piccola realtà del paesino e
ruotano intorno ad un misterioso omicidio. Quest’ultimo si configurerà, pian
piano, come la punta dell’iceberg di fatti che accadono, a seguito del delitto,
nel tempo attuale ma si rivelano legati al passato.
Sono sincera: ho acquistato il libro perché in
offerta speciale. Il titolo mi sembrava un po’ banale, ma avendo davvero poca
confidenza con i gialli, non ho potuto fare a meno di cogliere l’occasione per
tentare un approccio ad un genere per me nuovo. Il volume, essendo lungo per i
miei gusti, è rimasto parcheggiato sullo scaffale per un anno e mezzo. Una
volta aperto, però, l’ho divorato, impiegando ogni infinitesimale momento
libero. Mi sono sentita davvero molto presa dagli intrecci e dai colpi di
scena, che si sono susseguiti, uno dopo l’altro, fino alla fine, quando credevo
di aver ormai intuito la chiave di risoluzione.
Da un punto di vista
storico, ero curiosa di conoscere come Paesi non coinvolti
direttamente nella II Guerra Mondiale ne abbiano vissuto le conseguenze, in un modo o nell’altro. È sempre toccante, poi, apprendere di persone pronte a tendere
una mano per salvare vite allo sbaraglio, o di strenui oppositori che
combattevano per infliggere duri colpi allo scempio dilagante in quasi tutta Europa (oltre a coinvolgere popoli geograficamente ben
lontani dal Vecchio continente).
Passando poi alle #letturedalmondo, non
da ultimo, come spesso si verifica quando a scrivere sono penne operanti al di là dei confini del
Bel Paese, a mio parere risultano degni di nota i riferimenti numerosi agli
attimi di vita quotidiana ed alle usanze della Svezia, che bene stemperano la
tragicità delle vicende di guerra, delle sofferenze soffocate e delle scomparse.
Mi sono piacevolmente sorpresa nello scoprire che è abitudine svedese togliere le scarpe quando si entra in casa altrui – mi piacerebbe tanto se anche qui fosse lo stesso! Ho sorriso immaginando questi scandinavi naturalmente inclini al rispetto della privacy e dell’intimità casalinga altrui, che evitano accuratamente di presentarsi direttamente alla porta e preferiscono annunciare una visita al telefono, si trattasse pure di qualcuno di famiglia, come una suocera.
È stato estasiante assaporare un’emancipazione femminile tale da rendere lecita la rivendicazione da parte della protagonista di riprendere a lavorare dopo una gravidanza (sebbene si trattasse di un lavoro svolto comodamente a casa), lasciando che la controparte maschile si occupasse della bambina, senza per questo apparire come una ‘cattiva’ madre. In maniera complementare, è stato idilliaco sognare un papà che possa permettersi un anno di congedo parentale, godendo delle gioie della paternità (pur sentendo nel profondo la mancanza del lavoro amato). Infine, si è presentata, dirompente, l’acquolina quando (spesso) la protagonista divorava gustosi Dumle - deliziose caramelle toffee ricoperte al cioccolato, prodotte sin dal 1945; mi sono chiesta, incuriosita, cosa fossero i polkagrisar desiderati da una donna in attesa (i famosi bastoncini di zucchero natalizi, al sapore di menta o cannella) e mi sono stupita ad immaginare gli svedesi che preparano il caffè contando i misurini da utilizzare per preparare una buona bevanda.
Il segno che mi hai lasciato...
Scosse la testa e cominciò a salire la scaletta. Voltandosi incrociò lo sguardo del ragazzo. La pena che provava lo sorprese. Quanti anni poteva avere? Diciotto, non di più. Eppure in quello sguardo si leggevano troppe cose che non avrebbero dovuto esserci. Una giovinezza andata perduta, e con quella anche l’innocenza che della giovinezza avrebbe dovuto essere propria. La guerra aveva indubbiamente mietuto troppe vittime, e non erano solo i morti.
In una parola: Giallo
Libro vuol dire Libero
Per saperne di più
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